17 ottobre 2011: Per fortuna ci sono gli zingari

Articolo di Stella Spinelli pubblicato sul mensile Emergency di maggio 2011

L’articolo è stato letto a Roma, sulla lapide in San Giovanni, durante la celebrazione del 17 ottobre 2011

Teresa Costantino ha 50 anni, compiuti il 6 marzo scorso. Unica figlia femmina, è l’ultima di sei fratelli. Nata a bocchigliero, Cosenza, è arrivata a Prato a 13 anni. A 21 è diventata madre. Nel 2001 si è trasferita a Pistoia ma, dopo anni molto difficili e diversi lutti familiari, ha perso casa e lavoro. Per lo Stato italiano è una “senza fissa dimora”

Avevo deciso di farla finita in gennaio. Non ce la facevo più. Troppe disgrazie per una persona sola. Peggio: rimasta sola. Mio padre è morto cinque anni fa in un incidente sull’autostrada. Il fratello che adoravo è stato ucciso da un ubriaco nel dicembre 2009. Sempre nel 2009 una malattia ha stroncato il mio compagno. Mio figlio, 29 anni, ha sposato una ragazza siciliana e vive in Sicilia. Dei miei guai recenti non sa nulla, glieli ho tenuti nascosti. Ho dovuto lasciare la casa in affitto, a Pistoia. Ho fatto lavori in nero e sottopagati: baby-sitter, donna delle pulizie, badante. Tre amiche, a turno, mi hanno ospitata. Poi ho fatto le valigie, diretta verso quello che sembrava un lavoro duraturo. Badante per un anziano di 82 anni. È durato poche settimane. Lui pretendeva servizi extra, immaginate quali. Così ho rifatto le valigie, ma senza rete di protezione. Mi sono ritrovata nella mia città, Prato, con 50 euro in tasca. “Stanotte dormo in albergo e domani è un altro giorno”, ho pensato. Non ero ancora crollata.

Sono crollata dopo una notte passata sul pavimento, alla stazione. E ho deciso di farla finita. Ho preso un fiore dalla tomba di mio padre. Una sua foto e una di mio fratello. Ho scritto una lettera a Marcella, la mia migliore amica chiedendole di stare vicina a mio figlio. E ho messo tutto nel reggiseno, sicura che lì l’avrebbero trovato. Poi ho salito la collinetta, facile scavalcare il guard rail e ritrovarsi in autostrada. Mi sono seduta a fumare. Dicono che in momenti così si riviva tutta la vita. È vero. Mi sono rivista tredicenne, ultima di sei fratelli, passare dalla provincia di Cosenza a Prato. Mi sono rivista felice. E parte di me pensava: “ Meglio buttarsi sotto un camion o sotto una macchina?”.

“Cosa ci fai qui?”, mi ha chiesto una voce femminile. Mi sono voltata: era Lilli, una donna rom di mezza età, robusta. Due giorni prima mi aveva offerto un caffè e mi aveva chiesto che cos’avessi. Avevo risposto in modo evasivo ma senza riuscire a ingannare il suo sesto senso. Era in auto col marito, erano usciti a Prato ovest e anche lei aveva salito la collinetta. “Non fare sciocchezze”. Pochi minuti dopo ero avvolta nelle coperte, nella roulotte di Lilli. E ci sono rimasta, tra quella gente che non giudica e non chiede spiegazioni. Ho ritrovato la voglia di vivere, tra una doccia fredda e abiti lavati a mano in fonti di fortuna.

Prima tappa, l’ufficio anagrafe. Io sono una “senza fissa dimora” e per lo Stato italiano non esisto. Da quando mi hanno sfrattata non ho una residenza e dunque non ho diritti civili. Non posso votare, né ricevere assistenza sociale. Quella sanitaria è addirittura un miraggio. Sono una Signora Nessuno. Con una residenza tornerei Qualcuno. Ma come faccio, se non ho lavoro? E senza documenti, chi me lo dà un lavoro? Solo l’amministrazione cittadina potrebbe spezzare questa spirale e concedermi una residenza fittizia in via della Casa comunale, 1. È uno stratagemma pensato proprio per salvare chi vive nell’oblio sociale. Ma pare che la lista d’attesa sia molto lunga e così continuo a vivere nel campo rom. Il loro è un tirare a campare, tra espedienti e solidarietà. Chi è nella comunità sa che tutto è di tutti ma ognuno deve fare la sua parte. Meno male che ci sono gli zingari: io posso dirlo. Sarò sempre grata a questa gente ma presto me ne andrò perché rivoglio la mia vita. Non smetterò di bussare al vetro dell’impiegata dell’anagrafe, alla porta dell’assistente sociale e al portone dell’assessore comunale. Vorrei solo guardarmi allo specchio del bagno, in casa mia, e sorridere dicendo: “Mi chiamo Teresa Costantino, ho 50 anni e non sono più un fantasma”.